Un’indagine doxa (ente italiano specializzato in analisi e ricerche di mercato) del 2018 ha rivelato che l’85% dei vincitori del concorso di medicina e chirurgia si prepara al test di medicina mediante costosi manuali di preparazione, improntati ad uno studio sintetico e mirato delle quattro discipline fondanti della prova di ammissione (logica, biologia, chimica e matematica/fisica).
E’ sicuramente un dato notevole, discusso ampiamente da numerose testate giornalistiche, il quale risulta però essere tanto incoraggiante quanto fuorviante. In molti casi, riprendendo quanto detto da Chris Murray in uno dei sue testi più celebri, le parole ”vendere” e “influenzare” sono completamente intercambiabili.
Di fatti, l’indagine sopracitata viene spesso troncata sul più bello: di quell’85% dei vincitori preparati su onerosi manuali, circa il 100% ha iniziato a studiare con almeno un anno di anticipo.
Cosa significa questo? Semplice. A fare la differenza non è il tomo su cui si studia o la marca dello zaino che viene regalato se si preordina il “kit studente medicina”, ma lo studio in sé: la modalità e il tempo impiegato.
Discorso a parte deve essere fatto per i corsi di allenamento dove è presente un docente, con quest’ultimo si intende una persona preparata nel suo ambito che segue realmente una classe di ragazzi, non commercialate dove 100 aspiranti matricole spendono quattro ore al giorno a visionare slide facilmente consultabili dal caldo divano di casa.
Uno studente che svolge con attenzione 150 quesiti di chimica al giorno per sei mesi può tranquillamente prepararsi sui libri di testo delle superiori o su dispense online gratuite, non è certo necessaria una spesa che superi le tre cifre. Sono circa sessantamila gli studenti italiani che ogni anno tentano il concorso indetto dal ministero della pubblica istruzione: è semplice ipotizzare il perché di questa crociata pubblicitaria.
Affermare che un manuale non assicuri l’ingresso all’università non vuole certo essere un tentativo di terrorismo psicologico, al contrario. Bisogna assolutamente prendere come falsi i pregiudizi del tipo “sono necessarie perlomeno dieci ore di studio quotidiano”, “chi ha preso 100 alla maturità è in una botte di ferro” oppure “al primo anno va fatta per forza biologia”. A settembre su quei banchi a fare la differenza è solo l’allenamento, inteso in termini quantitativi e, per la maggiore, qualitativi.
Bisogna sfatare il mito di poter “comprare” o “assicurarsi” la vincita del concorso: se il “Non il genio, non il talento: nulla al mondo può prendere il posto della perseveranza” di Calvin Coolidge è vero, come si può pensare che una banconota possa sostituire i pomeriggi spesi in biblioteca?.